Confcommercio Milano: smart working? Ora un uso più equilibrato. Il sondaggio: adottato dal 52% delle impresee al massimo fino a 3 giorni alla settimana

Smart working oggi? Sì, ma con più equilibrio. A quattro anni dal Covid, l’utilizzo di questa modalità di lavoro da remoto è profondamente cambiato. Durante la pandemia lo smart working era esploso impattando fortemente sui flussi di entrata a Milano e creando gravi difficoltà a molte imprese commerciali. Oggi, nel terziario, continua ad essere adottato, ma con un utilizzo ridotto di giornate e soprattutto da imprese con determinate caratteristiche e strutture organizzative. E’ quanto emerge dal sondaggio di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza con le risposte di 555 imprenditrici e imprenditori (dati elaborati dall’Ufficio Studi). All’indagine hanno risposto in prevalenza (28,1%) le attività di servizi alle imprese (Ict, consulenza finanziaria, selezione del personale ecc.) mentre fra le attività del commercio più risposte si sono avute dal dettaglio non alimentare (10,6%). L’8,3%, invece, le risposte dai professionisti e il 7,7% dall’ingrosso non alimentare. Hanno risposto in prevalenza (73%) le imprese fino a 19 addetti e attive a Milano ed area metropolitana (75%).

SMART WORKING ADOTTATO SOPRATTUTTO NELLE ATTIVITA’ DI SERVIZI ALLE IMPRESE E FINO A TRE GIORNI ALLA SETTIMANA – Il 52% delle imprese utilizza lo smart working e quasi la metà di queste aziende appartiene al comparto dei servizi alle imprese. Fra chi applica lo smart working nella propria attività il 59% ha cominciato a farlo durante il Covid. Smart working applicato in prevalenza dai due ai tre giorni (52%) o un giorno (31%).
SMART WORKING: PERCHE’ SI’ E PERCHE’ NO – Fra i principali motivi che hanno portato le imprese ad adottare lo smart working prevale il miglioramento nel rapporto tra vita privata e di lavoro (il 37%). Seguono: riduzione dei costi (14%), incrementare la produttività ed attrarre/trattenere talenti (entrambe al 13%). Sempre il tema della produttività – ma al negativo – emerge, invece, come prima causa d’interruzione d’utilizzo fra le imprese (il 42% di chi ora non usa lo smart working) che dopo il periodo del Covid hanno poi scelto di non proseguire l’esperienza dello smart working: (22%). Assieme alle difficoltà procedurali (sempre il 22%) e alla mancanza d’interesse (16%).
SMART WORKING PER MOLTE IMPRESE NON UTILIZZABILE – Ma c’è un’ampia fascia di imprese (28%) che lo smart working non lo ha mai adottato (in particolare attività al dettaglio non alimentare e attività di ristorazione) e il motivo di gran lunga prevalente (65%) è semplice: il tipo di attività è non predisposto per lo smart working.
SMART WORKING: PRODUTTIVITA’ ED ASPETTI CRITICI – In generale, nel giudizio delle aziende nei confronti dell’attività di smart working, la produttività dei dipendenti in smart working è considerata maggiore (34%) o uguale (35%) al lavoro tradizionale.
Gli aspetti più critici dello smart working, secondo le aziende, sono: il gap di relazione umana (44%), la difficoltà nel separare il lavoro dal tempo libero (23%); la difficoltà nel saper gestire il lavoro (22%).
SMART WORKING IN FUTURO? SI’ CON GIUDIZIO – Le imprese ricorreranno allo smart working in futuro? Sì assiduamente il 36%, solo occasionalmente il 30%, no il 34%.
“Dai dati emerge chiaramente come lo smart working venga ora applicato con attenzione e non in modo indiscriminato come durante il periodo Covid. Ed anche la durata settimanale è circoscritta – osserva Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza – Oggi lo smart working viene adottato soprattutto dalle attività di servizi alle imprese che hanno individuato un loro assetto organizzativo post-pandemia”.
“Sul fronte del lavoro – prosegue Barbieri – Milano sta trovando un maggiore equilibrio, evitando gli effetti distorti provocati dall’emergenza pandemica. Con l’adozione massiccia dello smart working si erano create, infatti, pesanti ripercussioni sulle attività di tante imprese commerciali, in particolare quelle della ristorazione (la pausa pranzo incide per oltre il 20% del fatturato)”.