Lavoro, Censis: cresce la fiducia dei giovani
Milano – Grazie soprattutto a una formazione già inserita nel mondo del lavoro, negli ultimi anni si sta assistendo in Italia a una graduale ma inesorabile diminuzione dei NEET, corroborata dall’aumento della fiducia dei giovani perché sempre più coinvolti concretamente nel mondo del lavoro. È quanto emerge dall’ultima ricerca realizzata dal CENSIS per ASSOSOMM (Associazione Italiana delle Agenzie per il Lavoro). La notizia meno entusiasmante è che siamo ancora il Paese europeo con il più alto tasso di NEET (Not in Education, Employment or Training) d’Europa: più di noi solo la Romania, ma con situazioni occupazionali totalmente diverse. Il 19% dei giovani tra 15 e 29 anni non studia e non lavora, contro una media europea che è all’11,6%, la Germania altro grande Paese manifatturiero come l’Italia, è all’8%, mentre per l’Olanda siamo al 4%. Le percentuali sono leggermente maggiori se prendiamo in considerazione la fascia di età che arriva fino a 35 anni, ma ai fini del presente studio, i giovani non ancora trentenni sono più significativi, perché è lì che si notano i maggiori cambiamenti in atto. La buona notizia è che questo dato è in netta e progressiva diminuzione. Quello che fino a pochi anni fa sembrava un fenomeno endemico della nostra cultura del lavoro, tanto da far meritare ai giovani i titoli di bamboccioni e choosy, oggi è in netto calo. Basti pensare che 10 anni fa il numero di giovani che non lavorano e non studiano era più alto di 7 punti percentuali. Ciò vuol dire che, in questo periodo e malgrado la Pandemia, circa il 7% dei giovani “si è messo a fare qualcosa”, che sia lavorare o che sia frequentare un corso di formazione, in molti casi anche tutte e due le cose. Anzi, si è trattato proprio di questo connubio tra lavoro e formazione, sempre meno distaccati e sempre più esercitati in parallelo. Certo, alcune differenze col resto d’Europa si possono spiegare con la peculiarità della struttura produttiva italiana: un forte lavoro sommerso, un gran numero di piccole imprese familiari in cui sia il lavoro che la formazione faticano ad essere registrate in modo ufficiale, eppure ci sono. Quindi probabilmente nelle statistiche ufficiali saremo ultimi in Europa ancora per un po’. Ciononostante, un lento ma consistente movimento di attivazione e regolarizzazione del lavoro è in atto. Le differenze territoriali restano: – al Nordest i NEET sono il 12,5%, – nel Mezzogiorno sfiorano il 28% (27,8%), ma il processo di riduzione è in atto: nel 2018 erano 33,6. Sono diminuiti del 5,8%! Fatto 100 i ragazzi del Mezzogiorno che 5 anni fa non studiavano e non lavoravano, 17 si sono attivati: è un dato che deve far riflettere. Due sembrano essere i fattori determinanti di questo processo: 1. l’attivazione delle giovani donne; 2. la formazione durante il lavoro. Le ragazze che non lavorano e non studiano sono passate dal 28% al 20% in 10 anni. Ciò vuol dire che, fatte 100 le NEET del 2012, quasi 30 hanno deciso di mettersi a fare qualcosa. E cosa? Forse proprio un mix tra lavoro e formazione, una miscela dai confini non sempre definiti. In particolare, le ragazze del Mezzogiorno che partecipano ad attività formative durante il lavoro, sono aumentate del 39% rispetto alle pari età del Centronord che invece sono aumentate del 12%. Rispetto a 10 anni fa, le donne fanno registrare livelli più alti di partecipazione formativa sia tra gli occupati (54,5% a fronte del 50,5% degli uomini) sia tra i disoccupati (28,3% contro 24,8%). È importante notare che stiamo analizzando gli spostamenti nel tempo, in particolare nell’ultimo decennio. Invece sul piano dei numeri assoluti le discrepanze, tra nord e sud, tra Italia e UE, tra donne e uomini, restano significative e c’è ancora molto da fare. Ma se dobbiamo vedere chi si sta muovendo di più, è evidente che c’è un forte slancio femminile e in questo la formazione sta giocando un ruolo determinante. Grazie alla formazione delle ApL, cresce la fiducia nel rapporto tra giovani e lavoro Ma cosa ci dice tutto ciò? Che sta cambiando il rapporto tra giovani e lavoro, che è cresciuta la fiducia, che il rapporto tra giovani e lavoro, attraverso una formazione attiva e collegata al lavoro, sta cambiando. E questo aldilà del problema dei salari e della stabilità del posto di lavoro, problemi ancora fortemente attuali e sentiti. In tutto ciò lo strumento del lavoro in somministrazione ha giocato un ruolo non secondario: ha riavvicinato i giovani al mondo del lavoro (il 21% dei giovani si rivolge direttamente ad un’Agenzia), anche grazie alla formazione direttamente connessa all’impiego, una delle caratteristiche delle Agenzie per il Lavoro. Basti pensare che dal 2014 al 2022 i giovani (fino a 29 anni) assunti con un contratto in somministrazione sono aumentati del 42% (da 326.000 a 461.000). Mentre, con la medesima tipologia di contratto, i lavoratori con più di 30 anni sono aumentati “appena” del 15%. “Il problema, quindi, non era una presunta pigrizia innata dei giovani italiani, – afferma Rosario Rasizza (Presidente di ASSOSOMM) commentando i dati CENSIS – ma una difficoltà oggettiva a far incontrare prima di tutto domanda e offerta di lavoro, ma anche formazione e lavoro. Perché un ventenne difficilmente può essere attratto da un corso di formazione astratto e con prospettive incerte, mentre è più facilmente coinvolgibile in una formazione già inserita e immediatamente spendibile nel mondo del lavoro. Ed ora, grazie al CENSIS, anche i dati oggettivi ci confermano questo trend. E per questo da sempre investiamo in Formazione e Lavoro”.