Ristorazione, fuga dal lavoro: le proposte dell’Epam

Ristorazione, fuga dal lavoro: le proposte dell’Epam

Milano – “Non è vero che i giovani non hanno voglia di lavorare, non è vero che è tutta colpa del reddito di cittadinanza, ma non è neanche vero che noi non li paghiamo. Si fatica a trovare e a trattenere lavoratori nella ristorazione perché c’è qualcosa che non va dal punto di vista politico, sociale e culturale”. Lino Stoppani ha alle spalle oltre mezzo secolo di ristorante e oggi è presidente di Epam e Fipe, le associazioni dei pubblici esercizi a livello milanese e nazionale. Ha ben presenti le fragilità del suo mondo – e le chiarisce al Corriere Della Sera – ma vede anche una possibile evoluzione dallo stallo che la stagione della pandemia ha esasperato. I livelli di problematicità, secondo il rappresentante degli esercenti, sono almeno tre: “Il primo è politico, perché manca una visione sul lavoro, dal momento che non soltanto noi siamo in difficoltà. Servono investimenti veri sulle politiche attive e per la formazione, servono defiscalizzazioni e detassazione, anche soltanto a termine, per consentirci di rinnovare i contratti, perché adesso non ce la facciamo — inizia a elencare —. Poi c’è un problema sociale, a partire da quanto ci dice la curva demografica: quindi politiche per le famiglie, ma anche per i flussi di immigrazione. Già un terzo del personale dei pubblici esercizi proviene dall’estero. E infine c’è un problema culturale, sia per la reputazione del nostro mondo sia per quanto riguarda il valore del lavoro in generale». Tradotto, significa che il bar e il ristorante «non sono soltanto luoghi per “lavoretti”, perché ci sono opportunità di crescita umana e professionale, ma diventa tutto più difficile nel momento in cui hanno seguito e successo gli influencer che si vantano di aver mollato il lavoro”. E la questione salariale? “Ma non è vero che li paghiamo male — scatta Stoppani — ma è anche vero che il nostro è un mondo vasto e variegato, ci sono migliaia di aziende, c’è dentro di tutto. Io posso testimoniare che tra noi si parla tantissimo dell’importanza di trattare bene i lavoratori perché altrimenti scappano, verso altri settori o anche perché preferiscono le mense, dove almeno sanno per certo che saranno liberi dal venerdì pomeriggio al lunedì”. I salari, conferma il presidente degli esercenti, possono anche essere interessanti, “ma ci sono 31 contratti di lavoro diversi nel nostro ambito”. La busta paga di un cuoco, per esempio, “è vero che può essere da 63 mila euro lordi annui, come ha detto il direttore del nostro Politecnico — ribadisce Stoppani — in fin dei conti si tratta di 4.500 lordi suddivisi in 14 mensilità, cioè 2.700-2.800 netti per un cuoco capace, ecco, magari non per un primo impiego, ma sono figure molto richieste e ricercate”.