Made in Italy ed Export: ricerca a cura del Centri Studi di Fondazione Fiera Milano e Confindustria
Roma – Fondazione Fiera Milano e Confindustria, in collaborazione con CFI-Comitato Fiere Industria, hanno presentato questa mattina i risultati de “L’Italia delle Fiere Internazionali”, lo studio economico-scientifico che per la prima volta ha analizzato il legame fra l’economia di un Paese e il suo sistema fieristico. Dal rapporto, che offre uno sguardo sul cambiamento dell’ecosistema fieristico è emerso che l’internazionalizzazione del Made in Italy e lo sviluppo economico del Paese passano dall’industria fieristica italiana. L’analisi, che si sviluppa attraverso le quattro sezioni “la situazione del mercato pre-Covid e l’onda d’urto della pandemia“, “il ruolo delle fiere per le filiere del Made in Italy“, “le fiere e l’export“, “le fiere e la trasformazione digitale accelerata dalla pandemia“, ha messo a confronto i quattro Paesi europei a maggiore vocazione fieristica, ovvero Italia, Germania, Francia, Spagna e gli Stati Uniti. “I dati presentati oggi – spiega il presidente di Fondazione Fiera Milano, Enrico Pazzali – ci dimostrano che Il comparto fieristico globale è stato segnato profondamente dalla pandemia, ma che siamo in una fase di ripresa con un export tornato ai livelli pre-Covid. Ovviamente su tutto il comparto incide anche la situazione geopolitica mondiale che stiamo affrontando e che ancora non sappiamo quanto impatterà, ma che ci auguriamo possa risolversi il prima possibile sopratutto per tutte le persone che ne stanno pagando le conseguenze. Il sistema fieristico, quello italiano è il secondo a livello europeo, è un partner fondamentale per le nostre aziende soprattutto per un tessuto industriale come il nostro con tanta manifattura che in questi due anni ha avuto problemi ad accedere ai mercati esteri e che ora ha bisogno di essere supportata. Abbiamo però ora due sfide da cogliere. La prima è la trasformazione digitale che, come dimostrato anche dal rapporto, non può essere sostituiva della presenza fisica, ma complementare a essa. La seconda riguarda non solo le fiere, ma anche istituzioni e aziende. Tutti insieme dobbiamo lavorare perché sia riconosciuto al sistema fiera il suo ruolo chiave per l’internazionalizzazione, che le consenta di essere una finestra sul mondo per tutto il tessuto economico italiano guardando anche alla Germania, che su questo ruolo strategico tra fiere e istituzioni, ha costruito il suo primato e che oggi può vantare più di trecento fiere internazionali a fronte delle nostre sessanta.” Da quanto emerge dalla prima fase dello studio, che prende in analisi il periodo 2015 – 2019, in Italia, Germania, Francia e Spagna si sono svolte più della metà (54%) delle fiere internazionali con una occupazione dello spazio netto affittato del 76%. In questi quattro Paesi si è registrata la partecipazione del 69% dei visitatori totali e del 74% degli espositori. L’Italia rappresenta il 23% delle superficie affittate, la Germania, il principale competitor, il 50% mentre la Francia il 16% e la Spagna al 12%. L’analisi si spinge poi a osservare la situazione degli Stati Uniti – grazie a una base dati comparabile – e arriva infine ad alcune stime sul mercato mondiale. La pandemia ha colpito duramente le fiere: rispetto al 2019 si stima che il fatturato a livello mondiale sia calato del 68% nel 2020 e del 59% nel 2021. Nel secondo capitolo vengono presi in esame gli aspetti legati all’internazionalizzazione e che riguardano tutte quelle fiere che vedono una forte presenza di espositori esteri, più del 25%, e oltre il 20% di visitatori stranieri. Tra i 4 Paesi analizzati alcuni settori spiccano per internazionalità: Sistema Moda (84% di fiere con internazionalità forte), seguito da Comunicazione Ufficio, che comprende anche le fiere di editoria (72%), Industria (70%) e Arredamento (68%). In Italia le fiere più internazionalizzate appartengono ai settori Moda, Arredamento, Industria, Salute Ambiente, Comunicazione Ufficio e Costruzioni. L’analisi quantifica inoltre le quote di mercato dell’Italia a livello mondiale per alcuni dei settori più rappresentativi del Made in Italy (arredamento, cosmetica, food e hospitality, meccanica, moda, trasporti). L’Italia ospita il maggior numero di metri quadrati nel settore moda, con una quota di mercato del 23% dei 2,7 milioni di metri quadrati venduti a livello mondiale. Nella cosmetica, che nel suo complesso supera il milione di metri quadrati venduti nei Paesi considerati, l’Italia rappresenta una quota del 13%, al secondo posto dopo la Cina. La Cina occupa la prima posizione in tutti i settori, a eccezione del comparto moda, grazie al suo enorme mercato interno. A livello mondiale lo scoppio della pandemia, con il conseguente blocco dell’attività produttiva in tutti i sistemi economici, ha avuto un forte e immediato impatto sullo scambio internazionale di beni (-13,6% nel bimestre del primo lockdown aprile-maggio 2020 rispetto al mese di febbraio). Il riavvio dell’attività produttiva dal terzo trimestre 2020, la scoperta dei vaccini e infine la loro somministrazione hanno dato un nuovo slancio al commercio mondiale, che in un anno ha raggiunto nuovamente i livelli pre-crisi riagganciando il trend degli anni precedenti (Centro Studi Confindustria). Tuttavia l’invasione russa dell’Ucraina mina la crescita globale per il 2022. Anche in Italia l’export è tornato ai livelli pre-Covid, ovvero circa a 516 miliardi di beni (il 32,6% del Pil), ma si tratta di un recupero che ha caratteristiche peculiari. Infatti, nel 2020, sono 126.275 gli operatori economici che hanno effettuato vendite di beni all’estero e nel 2019 erano 10.688 in più. In Italia esiste un esteso segmento di “micro esportatori”: 72.571 operatori che realizzano un fatturato molto limitato dalle esportazioni (fino a 75.000 euro). Solo 4.276 operatori appartengono alle classi di fatturato esportato superiori a 15 milioni di euro (segmento che realizza il 71,2% dell’export italiano). Nel 2020 è in aumento la concentrazione delle esportazioni realizzate dai primi 1000 operatori (da 51,7% a 52,6% dell’export complessivo), così come le quote dei primi 100 operatori (da 25,5% a 26,1%) e dei primi 20 (da 12,1% a 12,6%). Si sono quindi rafforzate le aziende più grandi e consolidate sui mercati esteri. Quelle più fragili e piccole, secondo una definizione Istat, hanno abbandonato i mercati esteri e non sono state sostituite da nuovi operatori (Fonte: ISTAT-ICE). In questa analisi si inserisce perfettamente il ruolo che le fiere svolgono dal punto di vista commerciale soprattutto per le PMI: l’impossibilità di accedere ai mercati attraverso le fiere ha probabilmente determinato in parte questi risultati. Fino al 2018, in media, solo il 2% dei ricavi degli organizzatori proveniva dal digital, con punte del 4-5% per alcuni operatori. Nel 2020, invece, con i quartieri fieristici chiusi, gli organizzatori di fiere hanno provato a rispondere con le fiere digitali. Sono cresciuti moltissimo i canali di vendita misti online e offline, e i canali di acquisto misti: i grandi buyer hanno comprato in quantità significative, sia offline sia online. Ma alla fine l’online avrà davvero convinto? Da un’indagine condotta da GRS Research & Strategy su 1.200 espositori e 6.000 visitatori di 24 manifestazioni fieristiche italiane di livello internazionale emerge chiaramente che i buyer (visitatori) hanno partecipato in numeri piuttosto ridotti alle fiere digitali: tra gli italiani solo il 19%, rispetto al 30% degli esteri. Entrambe le categorie hanno mostrato una soddisfazione medio-bassa per quanto riguarda i fattori analizzati: mantenere le relazioni, capire le novità e le tendenze, contattare i fornitori abituali, cercare fornitori nuovi e fare ordini. Mediamente i soddisfatti sono tra il 30 e il 40%. Anche per gli espositori la partecipazione alle manifestazioni virtuali è limitata al 23% degli italiani e al 32% degli esteri, con soddisfazione ancora più bassa sui fattori chiave: cercare nuovi clienti (12-15%) e presentare nuovi prodotti (20-30%), Bassissima la soddisfazione sulla raccolta di ordini, anche se gli espositori esteri appaiono lievemente più soddisfatti. Riguardo al rapporto tra visitatori e fiere on line o in presenza, prevale nettamente il gradimento per queste ultime. La Fiera fisica, per la stragrande maggioranza degli interpellati si conferma in quasi tutti i campi con percentuali di gradimento che vanno dal 72% all’87%; dalla possibilità di fare conoscenze causali alla qualità del networking. Dalla soddisfazione generale al senso di appartenenza alla community. Dal fare business a trovare nuovi fornitori e l’ispirazione per nuove idee. L’on line raggiunge risultati apprezzabili quando si parla del rapporto valore tempo e della qualità dei contenuti formativi. Ma soprattutto, il digitale si afferma nettamente quando si affronta il tema dei costi per la partecipazione a una Fiera, con il 76% del gradimento. In conclusione, possiamo dire che le fiere non hanno sostituti per quanto riguarda aspetti cruciali come le relazioni dirette, l’agire collettivo, la comprensione delle frontiere dell’innovazione e la rassicurazione sulle scelte di fornitura. Soprattutto per le PMI, vera spina dorsale del sistema produttivo italiano, la fiera fisica rimane un elemento chiave, un luogo rassicurante e formativo imprescindibile per la vita stessa dell’azienda.