Inchiesta: il caporalato urbano

Inchiesta: il caporalato urbano

Roma – Il quotidiano online della Cgil “Collettiva” pubblica una inchiesta sul fenomeno del caporalato nelle città. Realtà che non riguarda solo il Sud. Le immagini diffuse dalla polizia parlano chiaro: tuguri sporchi e malsani, pareti ammuffite, materassi lerci gettati a terra tra rifiuti e bottiglie vuote. In un angolo un fornelletto a gas e una padella incrostata per cucinare, nell’altro povere cose conservate gelosamente in un comodino sbilenco. Sono scene drammatiche certo, ma familiari, almeno per chi si occupa di lavoro in Italia. Almeno per chi ha una vaga idea di cosa siano i ghetti per lavoratori migranti sparsi a centinaia in tutto il Paese. Li chiamano “insediamenti informali”, e spesso si trovano nelle campagne del Meridione, tra coltivazioni intensive e frutteti che s’affollano solo durante le stagioni della raccolta. Stavolta, però, in quelle immagini c’è qualcosa di diverso. Sono girate in un appartamento, e dalle finestre si vedono palazzi e strade cittadine percorse da auto e pedoni. Stavolta l’insediamento di migranti è a Sant’Agabio, un quartiere a est di Novara, ai limiti dell’area industriale. (…) L’inchiesta è stata definita dal questore della città piemontese, Rosanna Lavezzaro, “un unicum nel Nord Italia, la prima sul caporalato in ambiente urbano”. Tutto è iniziato nell’agosto del 2020, dopo alcuni controlli effettuati per contrastare il degrado del quartiere. Gli agenti hanno scoperto cittadini pakistani in situazioni di “evidente sovraffollamento”, da lì si è poi arrivati alle condizioni in cui erano costretti a lavorare. La storia dei “volantinatori” pachistani, in realtà, scoperchia un vero e proprio vaso di Pandora. Perché getta una luce nuova su uno dei mali che affliggono il mondo del lavoro in Italia. L’immagine dei raccoglitori di pomodori africani sfruttati come schiavi nel Sud del Paese è da anni impressa nell’immaginario collettivo di tutti. Ma forse appare un po’ datata, e troppo convenzionale. Perché non permette di cogliere appieno l’estensione e la complessità di quello che accade nelle nostre città. Il caporalato, infatti, oggi non può essere circoscritto da confini geografici o di settore così precisi. I “nuovi schiavi” sono nei campi, ma anche nei cantieri edili, nei grandi centri della logistica e in sella ai motorini dei rider. Sono nelle case di cura, nelle finte cooperative di badanti, nella ristorazione, nei trasporti, nel facchinaggio. Così come nei lavori di manutenzione, nelle fabbriche e nei cantieri navali. Quello che ormai viene definito “caporalato urbano” è poi diffuso in tutte le regioni del Paese, al nord come al sud, sia nelle province ad alta vocazione agricola sia nelle periferie metropolitane. Si annida soprattutto nelle pieghe del sistema dei subappalti e di somministrazione di manodopera, e per questo ha ormai bisogno di un esercito di colletti bianchi per prosperare. Una conferma ci arriva dai dati del 2021 anticipati dall’Ispettorato nazionale del lavoro. Dal 2019 a oggi le ispezioni effettuate sono aumentate del 400%, passando da 308 a 1.455. Nell’ultimo triennio, gli ispettori del lavoro e i carabinieri hanno individuato 3.685 lavoratori irregolari e 6.594 vittime di sfruttamento. Sono state poi sospese 228 aziende e deferite all’autorità giudiziaria 1.455 persone per il reato di sfruttamento del lavoro. Alla crescita dell’attività di controllo ha corrisposto la conferma dei livelli insopportabili d’illegalità. Soprattutto nelle aree più ricche del Paese. Nel biennio 2020-2021, le aziende irregolari scoperte hanno superato quota 68% nelle regioni del Sud (1.034 su 1.512); e arrivano addirittura al 78% (768 su 986) nelle regioni del centro-nord. (…) Fenomeno diffuso soprattutto in edilizia, logistica e servizi alla persona. Proprio i settori attualmente in maggiore ripresa. Nel complesso, solo il 7% (5.372) dei controlli riguardavano l’agricoltura. Il 14% (11.930) sono stati messi in atto nell’industria, il 24% in edilizia (19.956), e più della metà, 46.163, nel terziario. Irregolarità sono state scoperte ovunque, in tutti i settori produttivi. L’ispettorato fornisce cifre esorbitanti, a partire dal quasi 58% di abusi registrati in agricoltura, fino ad arrivare al 67,28% in edilizia. (…) Dal 2016 a oggi sono oltre 260 le inchieste giudiziarie aperte dalle procure di tutta Italia. Almeno cento non riguardano il settore agricolo, e più della metà (143) non si riferiscono al Sud Italia. In tutte, però, emergono la fragilità e la debolezza dei lavoratori sfruttati. La giurisprudenza parla ripetutamente di “approfittamento dello stato di bisogno” per definire l’elemento chiave della schiavitù moderna. Per i migranti si tratta sempre della spada di Damocle del permesso di soggiorno, per molti altri è “l’assenza di alternative” in contesti segnati da alta disoccupazione a diventare decisiva. È il caso, tra i tanti, che emerge dall’operazione ”Sheffield” avviata a Lamezia Terme nel maggio 2021: settanta dipendenti sottopagati ricevevano buste paga in fotocopia di 1.300 euro al massimo, tutto compreso. Niente straordinari e niente ferie. Oppure è il caso d’interi settori e nuove economie, prima tra tutte la gig economy, che si sostengono grazie a un caporalato digitale basato sul subappalto generalizzato e sul lavoro a chiamata. Lo dimostra la sentenza pronunciata a Milano nell’ottobre scorso per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro dei ciclo-fattorini di Uber Eats.