Gelmini: no a salario minimo

Gelmini: no a salario minimo

Roma – “Il tentativo di alcune forze politiche rischia di portare di nuovo al centro del dibattito politico il tema del salario minimo. Ora meno che mai il nostro mercato del lavoro ha bisogno di interventi dirigisti. L’introduzione di soglie minime o massime non ha mai portato a maggiori livelli di tutela dei lavoratori”. Lo scrive Mariastella Gelmini, ministro per gli Affari regionali e le autonomie, in un intervento su “Il Sole 24 Ore”. “Le scelte assunzionali delle imprese dipendono da molti altri fattori, sempre più relativi alle competenze possedute dai lavoratori e all’aumento della produttività. La previsione di un salario minimo non può essere la soluzione del problema dei lavoratori sottopagati. Innanzitutto, il salario minimo rischia di disincentivare la contrattazione collettiva e di livellare complessivamente le retribuzioni”, spiega Gelmini. “Se la legge statale fissa un salario minimo più basso dei livelli contrattuali perché mai l’imprenditore dovrebbe applicarli? Poiché le attuali retribuzioni dei contratti collettivi sono già superiori all’ammontare di salario minimo ipotizzato nei dibattiti politici, non si corre il rischio che la fuga dai contratti collettivi determini anche l’abbassamento degli stipendi per molti lavoratori di molti settori?” si domanda Gelmini. “Nel medio periodo, dinamiche perverse di questo tipo sempre a scapito dei lavoratori, si determinerebbero anche nell’ipotesi di salario minimo superiore agli attuali livelli contrattuali, con l’aggravante di incentivare il ricorso al lavoro nero soprattutto in alcune aree del Paese. Al contrario, la contrattazione collettiva rappresenta una modalità di costruzione del sistema di tutela dei lavoratori anche dal punto di vista retributivo, soprattutto se capace di incentivare l’incremento di produttività a cui collegare elementi retributivi aggiuntivi”, aggiunge. “Il punto è che il problema del lavoro sottopagato non riguarda affatto i quattro quinti di lavoratori a cui si applicano i livelli retributivi dei contratti collettivi. In questo senso, è bene precisarlo per chi utilizza strumentalmente l’argomento, non è una richiesta e men che meno un obbligo europeo: ciò vale per quei Paesi in cui non esiste una tradizione di applicazione di contratti collettivi comparabile con quella italiana”, prosegue Gelmini. “Lo scandalo dei lavori sottopagati riguarda per l’appunto quella manodopera a cui si applicano contratti non stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, disposti ad accettare forme di dumping salariale. A ben vedere, il salario minimo non è quindi il rimedio mentre potrebbe essere causa di mali diversi. La vera soluzione è invece quella di favorire l’estensione della contrattazione collettiva. In generale, la rilevanza complessiva del tema ‘lavoro’ dovrebbe provocare un dibattito più pragmatico e meno ideologico sui problemi strutturali che ancora incrostano il nostro mercato del lavoro”, conclude.