Mestre (Ve) – Se non ci saranno nuovi intoppi, le risorse messe a disposizione dal “decreto Sostegni” arriveranno a imprese e lavoratori autonomi subito dopo Pasqua. In buona sostanza, saranno accreditati sul conto corrente delle attività interessate almeno 3 mesi e mezzo dopo dalle chiusure imposte nel dicembre scorso dall’allora governo Conte. Pertanto, questi soldi, messi a disposizione dallo scostamento di bilancio del gennaio scorso, giungeranno a “destinazione” non certo con la tempestività che la situazione imporrebbe, bensì a passo di lumaca. E’ evidente che la mancata immediatezza nello stanziamento degli indennizzi costituisce un problema che non è stato ancora risolto, fa sapere l’Ufficio studi CGIA. Se dopo un anno dall’inizio della pandemia è necessario aspettare ancora così tanto tempo, è evidente che la “macchina” necessita di una messa a punto. Indubbiamente, le novità sopraggiunte in questi ultimi mesi sono state parecchie e tutte hanno contribuito ad allungare i tempi di erogazione degli aiuti. In sintesi: il Parlamento ha votato lo scostamento di bilancio da 32 miliardi di euro[1] il 20 gennaio scorso; la crisi di governo si è chiusa verso la seconda metà dello scorso mese di febbraio con una nuova maggioranza e la sostituzione del Premier; rispetto ai “decreti Ristori” approvati nella seconda metà del 2020, con questo primo provvedimento economico preso dal Governo Draghi è stata modificata la modalità di calcolo degli indennizzi, abbandonando, finalmente, la logica dei codici ATECO. Se, paradossalmente, invertissimo i ruoli, a un’azienda, sarebbe stato possibile saldare le imposte all’erario con almeno 3,5 mesi di ritardo a causa di un litigio fra soci tale da portare alla sostituzione dell’amministratore delegato e senza pagare alcuna sanzione per tardivo versamento? Abbiamo ottime ragioni nel ritenere che, obbiettivamente, ciò non sarebbe potuto accadere. Ricordiamo che lo scostamento di bilancio da 32 miliardi di euro a sostegno di famiglie e imprese è stato approvato dal Parlamento il 20 gennaio scorso; praticamente dopo tre settimane dall’approvazione della Legge di Bilancio che, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre scorso, vale 40 miliardi di euro. Un provvedimento, quello dello scostamento, che è stato votato all’unanimità da tutti i gruppi parlamentari presenti sia alla Camera che al Senato. Ebbene, la domanda che molti piccoli operatori in difficoltà si pongono è: entro la fine del 2020, nessuno della maggioranza di allora aveva contezza che a seguito delle chiusure imposte in precedenza ci fosse la necessità di includere queste misure di sostegno all’interno della Finanziaria, invece di fare un intervento ad hoc dopo soli 20 giorni? Ricordiamo che a metà gennaio il numero dei contagi era in calo in tutto il Paese e in quelle settimane tutte le regioni stavano riaprendo l’attività scolastica in presenza. Insomma, eravamo in una fase in cui il Covid aveva allentato la presa. Pertanto, è incontestabile che le risorse messe a disposizione con il voto del 20 gennaio siano destinate a compensare i danni provocati dalle chiusure pre-natalizie. Ed ancora: non stiamo parlando di una misura marginale, bensì di un intervento da 32 miliardi che ammonta all’80 per cento della dimensione economica della Legge di Bilancio 2021. Una “svista” che ha colpevolmente allungato i tempi con i quali andremo a sostenere le imprese colpite dal Covid. Come abbiamo riportato più sopra, il ritardo nei tempi di erogazione di queste risorse appaiono del tutto ingiustificabili. Le aziende, soprattutto quelle di piccola e micro dimensione, non possono attendere così a lungo. Il crollo del fatturato e la conseguente mancanza di liquidità subita in questi ultimi mesi stanno infatti spingendo verso il baratro tantissimi operatori economici che rischiano di ricevere i soldi fuori tempo massimo, ovvero, dopo che molti di questi avranno cessato definitivamente la propria attività. E che questi 32 miliardi fossero anche del tutto insufficienti lo si era capito sin dall’inizio. Prova ne sia che, da qualche settimana, negli uffici del Ministero dell’Economia e delle Finanze circolano alcune simulazioni di un possibile nuovo disavanzo di bilancio di almeno 20 miliardi di euro che potrebbe essere approvato dalle due Camere nelle prossime settimane. E’ evidente che anche questo importo appare poca cosa se lo rapportiamo alla dimensione delle perdite subite dalle imprese e da tutto il mondo del lavoro autonomo. Per questo è necessario fare un ulteriore sforzo, approvando delle misure di indennizzo che arrivino a toccare almeno i 50 miliardi di euro. Al netto di ristoranti, bar, alberghi e le attività che ruotano attorno al settore turistico, in massima parte chiuse a causa delle misure di confinamento in corso, la CGIA elenca i comparti che più degli altri si trovano in affanno e chiedono un sostegno economico particolare. Essi sono: “fieristi”/ambulanti, in particolar modo quelli con posteggi presso le aree interessate da eventi e stadi; attività culturali e spettacolo (cinema, musei e teatri); commercio al dettaglio (in particolar modo abbigliamento e calzature); cura della persona (barbieri, parrucchieri e centri estetici); eventi (concerti, congressi, matrimoni, cerimonie, etc.); sport, tempo libero e intrattenimento: come palestre, piscine, discoteche, feste di paese, parchi divertimento e tematici (incluse le attività dello spettacolo viaggiante); trasporto persone (taxi, autonoleggio con conducente e bus operator). Com’era prevedibile, nelle 11 regioni che attualmente si trovano in “zona rossa”, prolifera il lavoro nero e l’abusivismo. Uno dei settori più colpiti è sicuramente il settore del benessere. La chiusura per decreto dei centri estetici, dei barbieri e dei parrucchieri ha dato una grande spinta a chi – armato di creme, lamette, forbici e con il phon in valigetta – gira per le case private praticando abusivamente queste attività, violando ogni limitazione alla mobilità e tutte le norme in materia di sicurezza. Oltre a denunciare la mancanza di controlli da parte delle forze dell’ordine, la CGIA segnala che la cosa paradossale di tutta questa vicenda è che lo stop imposto alle attività regolari – dove tutto era tracciato, si lavorava solo per appuntamento, non c’erano assembramenti e ogni operazione era sottoposta a rigorosi protocolli di igiene introdotti ben prima dell’avvento del Covid – lascia ora enormi spazi agli abusivi che girano tranquillamente per le abitazioni delle clienti. Una piaga, quella del lavoro nero, che avvicinandosi alle festività pasquali è destinata ad aumentare ulteriormente e rappresenta non solo una concorrenza sleale nei confronti dei professionisti di questo settore, ma anche un grosso rischio per la tutela della salute pubblica.