Forum Giovani Imprenditori Confcommercio

Roma – In quarant’anni nel nostro Paese ci sono circa dieci milioni di giovani in meno, mentre è quasi raddoppiata la quota di ultrasessantacinquenni. Questi fenomeni nel corso degli ultimi anni si sono concentrati ed esasperati principalmente al Sud. Tra il 2011 e il 2023 la perdita di popolazione è stata tutta nel Mezzogiorno (1 milione in meno di abitanti). E, in particolare, in quest’area la perdita di giovani è stata di ben 1,9 milioni. Peggiori condizioni economiche comprimono, infatti, la demografia e senza demografia non c’è crescita. In Italia in dodici anni (2011-2023) abbiamo perso 180mila imprese giovani di cui più del 40% nel Mezzogiorno (oltre 78mila). E il tasso di imprenditoria giovanile, cioè la quota di imprese giovani sul totale delle imprese, si è ridotto di ben 3,1 punti percentuali, passando dall’11,9% all’8,8%. Senza questa perdita, e quindi con un tasso pari a quello del 2011, oggi avremmo tra i 47 e i 63 miliardi di euro in più di Pil. Il declino, dunque, può essere contrastato solo incrementando il tasso di imprenditoria giovanile soprattutto nel terziario di mercato che negli ultimi trent’anni è il settore che ha generato crescita economica ed occupazione (+3,5 milioni di occupati standard a tempo pieno dal 1995 al 2023 rispetto a meno di un milione negli altri comparti). L’imprenditoria giovane può dare impulso alla crescita complessiva del Paese e, in particolare, del Mezzogiorno che ha sempre trovato nell’autoimprenditorialità un’àncora di salvezza contro la ridotta presenza di grandi imprese che generano lavoro dipendente. Occorre migliorare il contesto socio-economico e la demografia, incentivando la partecipazione femminile al lavoro per invertire la tendenza demografica a lungo termine; incentivare l‘imprenditorialità, promuovendo l’auto-imprenditorialità attraverso agevolazioni fiscali, semplificazione burocratica e variabili di contesto più favorevoli; agevolare l’accesso al credito per le imprese giovanili. Questi in sintesi i principali risultati dell’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio “L’importanza dell’imprenditoria giovanile per la crescita economica” presentata oggi a Milano in occasione del XV Forum nazionale dei Giovani Imprenditori di Confcommercio in Confcommercio Milano. Il Presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, afferma: “L’eccezionalità economica italiana si è costruita su un modello di impresa diffusa, attraverso la quale – nel tempo – tantissimi italiani hanno pensato di mettersi in proprio e di realizzare un progetto di vita. Eppure, proprio questo desiderio di crescita nell’ultimo decennio sembra assopito. Nel 2011 le imprese giovanili erano quasi il 12% del totale, nel 2019 erano il 9,5%, nel 2023 l’8,8%. L’impresa è insomma un orizzonte che le nuove generazioni scelgono sempre meno. Tuttavia, fare impresa è una delle decisioni a più alto impatto personale e sociale che possano esserci. Confcommercio con il suo Gruppo Giovani sono qui per testimoniare l’importanza di questa scelta”. Il Presidente Giovani Imprenditori di Confcommercio, Matteo Musacci, sostiene: “Abbiamo voluto dedicare questo XV Forum Nazionale al tema della crescita perché è il momento che ogni giovane imprenditore – di prima generazione, ma non solo – si trova ad affrontare, spesso con un senso di solitudine. Ma i dati dimostrano anche che senza imprenditoria giovanile la stessa crescita, lo sviluppo, del Paese procede con il freno a mano tirato. Da un punto di vista innanzitutto quantitativo – se la quota di imprese giovani oggi fosse pari a quella del 2011 avremmo tra 47 e 63 miliardi di euro correnti in più di Pil – ma anche qualitativo: le imprese giovanili portano nel mercato energie, prospettive e competenze che rappresentano un irrinunciabile canale di innovazione e creatività”. In quarant’anni nel nostro Paese ci sono circa dieci milioni di giovani in meno (da 32,3 milioni del 1982 a 22,8 milioni del 2023), mentre è quasi raddoppiata la quota di ultrasessantacinquenni (da 7,5 milioni del 1982 a 14,2 milioni del 2023). Non c’è, dunque, immissione di nuove forze nel complesso della popolazione. Nel 1982 un giovane, magari imprenditore, entrava nella vita professionale, nella cornice macroeconomica di un rapporto debito/Pil del 61% (13.163 euro pro capite), mentre nel 2023 questo rapporto è più che raddoppiato (134,6%, pari a oltre 48mila euro a testa). Considerando l’aspettativa di vita alla nascita e, quindi, la vita residua di un trentenne nei due anni di riferimento considerati, un giovane quarant’anni fa doveva sopportare un debito annuale di 295 euro contro gli oltre 910 euro di oggi. E ancora, nel 1982 lo stesso giovane entrava con una pressione fiscale media sotto il 32% mentre oggi patisce il 41,5%. Mettendo insieme debito pro capite attuale e prospettico e pressione fiscale si comprende come si sia instaurato un circolo vizioso che deprime l’autoimprenditorialità: un giovane ha debiti contratti da altri che deve ripagare attraverso un fisco più gravoso. Guardando alle macro aree del Paese e focalizzando l’attenzione al periodo 2011-2023 vediamo che questi fenomeni si sono concentrati ed esasperati. La perdita di popolazione italiana è tutta registrata al Sud (1 milione di abitanti) che perde abitanti anche a causa dell’emigrazione verso Nord e all’estero, mentre non attrae stranieri. Più della metà della perdita di giovani è nel Mezzogiorno (ben 1,9 milioni su un totale di 3,7 milioni). Peggiori condizioni economiche comprimono, infatti, la demografia e senza demografia non c’è crescita. In Italia in dodici anni (2011-2023) abbiamo perso 180mila imprese giovani, guidate da imprenditori under 35, di cui più del 40% nel Mezzogiorno (oltre 78mila). Questa perdita, peraltro, è solo in minima parte attribuibile alla transizione demografica. Infatti, se in un dodicennio, da un lato, la popolazione complessiva è scesa dell’1,9% e quella della fascia tra i 25-39 anni del 19,9%, dall’altro, il totale delle imprese è diminuito del 3,4% e quelle giovani di ben il 28,6%. E, in particolare, tra il 2011 e il 2023 il tasso di imprenditoria giovanile, cioè la quota di imprese giovani sul totale delle imprese, si è ridotto di ben 3,1 punti percentuali, passando dall’11,9% all’8,8%. Con una quota di imprese giovani pari a quella del 2011 oggi avremmo tra i 47 e i 63 miliardi di euro in più di Pil. La quota di imprenditori giovani sul totale delle imprese ha, infatti, un impatto positivo e statisticamente significativo sulla crescita economica, a parità di altre condizioni: i risultati delle nostre elaborazioni indicano che al crescere dell’1% assoluto della quota di imprese giovani la crescita sarebbe maggiore tra lo 0,9% e l’1,2% in media per ciascuna provincia. Il declino, dunque, può essere contrastato solo incrementando il tasso di imprenditoria giovanile soprattutto nel terziario di mercato che negli ultimi trent’anni è il settore che ha generato la crescita economica e l’occupazione (+3,5 milioni di occupati standard a tempo pieno dal 1995 al 2023 rispetto a meno di un milione negli altri comparti). L’imprenditoria giovane, la parte più vitale della società imprenditoriale, può dare impulso alla crescita complessiva del Paese e, in particolare, del Mezzogiorno che ha sempre trovato nell’autoimprenditorialità un’àncora di salvezza contro la ridotta presenza di grandi imprese che generano lavoro dipendente. L’equazione risolutiva è, dunque, più imprese giovani nel terziario di mercato. E’ da qui che si deve passare per forza. E anche lo squilibro generazionale va ridotto. Per rivitalizzare la relazione tra giovani imprenditori e crescita economica in un orizzonte di medio e lungo periodo occorre: migliorare il contesto socio-economico e la demografia, incentivando la partecipazione femminile al lavoro per invertire la tendenza demografica a lungo termine; incentivare l‘imprenditorialità, promuovendo l’auto-imprenditorialità attraverso agevolazioni fiscali, semplificazione burocratica e variabili di contesto più favorevoli; agevolare l’accesso al credito per le imprese giovanili che rappresenta un investimento nell’innovazione che va sostenuto dalla collettività.