Inps: spesa pensionistica al 15,3% sul Pil; dal 2019 retribuzioni sotto del 10%
Roma – Nel 2023 secondo le rilevazioni della Ragioneria Generale dello Stato, la spesa pensionistica cresce rispetto al 2022 del 7,4%, attestandosi al 15,3% del prodotto interno lordo, uno dei più elevati d’Europa, lo ricorda l’agenzia Ansa. Lo ha detto il presidente dell’Inps, Gabriele Fava in una audizione alla Camera sottolineando che “negli ultimi cinque anni è passata da 268 a 319 miliardi di euro con una crescita di quasi il 19%. Nel biennio 2023-2024 la spesa in rapporto al Pil “aumenta significativamente portandosi sopra il 16%, anche a causa dell’elevato livello della perequazione imputabile al significativo incremento dell’inflazione”. “Le ragioni di una spesa pensionistica elevata – spiega Fava – sono storicamente riconducibili a un sistema pensionistico in passato generoso, sia dal punto di vista dei requisiti pensionistici, sia da quello del metodo di calcolo che, seppur modificato dal 1995, produce ancora effetti sulla spesa pensionistica in ragione dello stock di pensioni ancora vigenti liquidate con il metodo precedente. Nel 2023, l’età effettiva di pensionamento è in linea con quella degli altri Paesi europei, e solo leggermente superiore alla media Ue, nonostante in Italia la speranza di vita sia tra le più alte d’Europa”. “Il tasso di sostituzione della pensione rispetto all’ultima retribuzione percepita prima del pensionamento – spiega il presidente Inps – resta tra i più elevati in Ue, pari al 59%, quasi 14 punti percentuali sopra la media europea, anche in ragione dell’elevato peso dell’aliquota di contribuzione. Per completare il quadro, occorre ricordare come in Italia, il secondo pilastro del nostro sistema pensionistico, ovverosia la previdenza complementare, necessita di un suo ulteriore sviluppo. Le potenzialità di questo secondo pilastro necessitano di interventi di promozione che il PSB introduce tra le iniziative mirate alla sostenibilità del sistema pensionistico”. Dopo il 2024 la spesa in rapporto al PIL si manterrebbe sostanzialmente stabile fino al 2026, per poi riprendere ad aumentare moderatamente superando il 17% nel 2036. Tale dinamica è essenzialmente dovuta all’incremento del numero di pensioni come conseguenza dell’uscita dal mondo del lavoro dei nati negli anni ’60-’70 (baby boomers). Successivamente dopo un periodo di stabilità, la spesa diminuisce gradualmente, tornando a livelli prossimi al 16% nel 2050 e al di sotto del 14% dal 2059. Tale dinamica decrescente è determinata dall’applicazione generalizzata ed a pieno regime del calcolo contributivo contestualmente all’applicazione dei meccanismi di stabilizzazione previsti dal sistema pensionistico italiano (adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento e dei coefficienti di trasformazione in funzione della speranza di vita), espressamente disegnati per garantire la sostenibilità finanziaria del sistema e l’adeguatezza delle prestazioni”. “Al notevole recupero occupazionale, sia in termini di unità che di intensità di lavoro, non è corrisposto un incremento dei redditi e delle retribuzioni tale da compensare pienamente la perdita di potere d’acquisto conseguenza dell’aumento dei prezzi che ha interessato gli ultimi anni”. Lo ha detto il presidente dell’Inps, Gabriele Fava in una audizione alla Commissione sugli enti previdenziali. “La retribuzione media annua pro capite nel 2023 – ha detto – risulta pari a 25.789 euro rispetto al 2019 si tratta di un incremento del 6,8%. La variazione media dei prezzi al consumo tra il 2019 e il 2023 è collocabile attorno al 15-17%”.