Cento artigiani a lezione dai Nas per imparare a fermare la concorrenza sleale

Artigianato
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Cento artigiani a lezione dai Nas per imparare a fermare la concorrenza sleale

Milano – C’è chi stampa sull’etichetta in bella vista “gusto artigianale”. In realtà il prodotto è uscito da una catena di montaggio e nessun artigiano ci ha messo un dito. Altri imprenditori fino a qualche tempo si promuovevano a tutto spiano come “artigiani della qualità” ma senza averne alcun titolo. Eppure la legge parla chiaro: solo gli artigiani in regola possono utilizzare la preziosa denominazione “artigianale”. Per gli abusivi? Le leggi nazionali e regionali, datate anni ’80 e pure scarsamente applicate applicate, prevedono poco più di un buffetto con sanzioni da poche centinaia di euro. Rispetto alla platea delle 90mila imprese artigiane attive tra Milano e Monza, sono 14mila quelle più esposte al fenomeno: sono le ditte che realizzano prodotti unici e fatti a mano, alimentari e non. Per loro questa concorrenza sleale è un danno enorme: solo tra Milano e la Brianza vale oltre 700 milioni di € l’anno di mancati incassi. Eppure sono pochissimi gli artigiani che denunciano, molti per sfiducia, in tanti perché non sanno nemmeno a chi rivolgersi.  Unione Artigiani ha chiamato a raccolta un centinaio di maestri artigiani decisi a dire basta e che oggi pomeriggio impareranno ad affilare le armi: nella sede di Via Doberdò incontreranno i Carabinieri del NAS, gli agenti dell’Annonaria della Polizia Locale di Milano, gli esperti di Regione Lombardia e le associazioni dei consumatori. Una lectio magistralis per conoscere normative e strumenti, per tentare di arginare un fenomeno che sta dilagando sugli scaffali della piccola e grande distribuzione e che corre senza freni nell’e-commerce. E dietro al quale, a volte, si celano filiere fuori dai circuiti legali. “Il prodotto artigianale evidentemente tira, è una qualità ricercata dai consumatori più attenti e anche disposti a pagare di più. E per questo in tanti ne approfittano. Un esempio? A Milano sotto Natale è impossibile trovare un panettone non artigianale”, sorride amaro il presidente di Unione Artigiani Stefano Fugazza, panettiere e pasticciere che fra poco nella sua bottega avvierà la produzione dei panettoni della tradizione, impastati uno ad uno con le sue mani. “In questo caso – aggiunge – grazie ad un disciplinare preciso e condiviso, ad un marchio di riconoscibilità e al ruolo della Camera di Commercio di Milano, stiamo difendendo un patrimonio gastronomico ma fuori da questo circuito è una guerra. Tanto che anche i NAS hanno sequestrato tonnellate di panettoni industriali immessi sul mercato come artigianali. I furbetti poi si trovano da entrambe le parti”, aggiunge Fugazza. C’è l’ impresa non artigiana che produce in serie e poi commercializza la scritta “prodotto artigianale”. O qualche artigiano che invece compra la merce da qualche industriale, cambia il packaging e poi vende i prodotti come se fossero i suoi. Per noi ovviamente sono tutti fenomeni da reprimere”. “Come possiamo agire? Chiedendo e offrendo trasparenza al mercato e ai consumatori, certificando i processi e i prodotti, anche alleandosi con l’industria – aggiunge Marco Accornero, il segretario di Unione Artigiani – La grande impresa, ad esempio, valorizzi la presenza dell’artigianato nella sua filiera produttiva, lo racconti, lo faccia vedere. Non possiamo obbligarla a farlo per legge ma è un’iniziativa che va incentivata. Non costa e a nostro parere può generare ulteriore valore ai prodotti finali, immateriale ed economico.” “La strada dei controlli? Tolti i Nas dei Carabinieri – aggiunge Accornero – che indagano sui casi considerati più importanti, sui territori il pallino – per legge – è nelle mani della polizia locale. Nei grandi centri urbani abbiamo le Unità dell’Annonaria, ma nelle migliaia di piccoli comuni i controlli di fatto sono impossibili”. La presenza di questa concorrenza sleale sul mercato ha l’effetto di una bomba sugli incassi potenziali di migliaia di micro e piccole ditte artigiane. Secondo un’indagine condotta da Unione Artigiani su un campione di circa 500 imprese associate tra Milano e la Brianza, sono a dir poco allarmanti i dati riguardanti i mancati incassi connessi alla presenza del falso artigianato. Ad esempio, chi fa produzione alimentare delle tradizione stima fatturati ridotti di almeno il 60%, i titolari dei laboratori di gioielleria e bigiotteria denunciano danni che valgono fino all’80% dei redditi annuali. Segnalano un -65% dei ricavi potenziali le ditte del legno arredo, le imprese della moda e delle pelle calcolano una riduzione del giro d’affari pari al 70%, e rilevano il 75% dei guadagni in meno i produttori di altri pezzi unici fatti a mano come gli strumenti musicali e le microimprese dell’artigianato artistico. Secondo le stime del nostro Ufficio Studi, solo tra le province di Milano e Monza, i falsi artigiani si mettono in tasca almeno 700 milioni di Euro l’anno che invece dovrebbero andare nella casse di quelli veri. Per le 4000 imprese artigiane di Monza e Brianza impattate dal fenoneno si calcola 200 mln € di fatturato in meno. In sostanza, almeno 50mila € l’anno in meno per ogni ditta. E come reagiscono gli artigiani, quelli regolari? Qui la rabbia si trasforma in frustrazione. Di fronte ad un 3% che prova a fermare almeno col dialogo il venditore di prodotti “farlocchi” o i loro acquirenti, l’97% del campione allarga semplicemente la braccia e non si sforza nemmeno di comporre il centralino delle Forze dell’Ordine. Per quale ragione, nonostante l’ammontare enorme dei danni dichiarati? Dall’indagine emerge forte la sfiducia: il 57% degli imprenditori associati interpellati non ha voglia di impegnarsi in un procedimento, secondo il 28% anche in caso di denuncia non cambierà mai nulla o se mai arriveranno gli eventuali provvedimenti repressivi – per il 12% – sarà troppo tardi. Le speranze risiedono nelle nuove normative sul Made in Italy: il 70% dice sì ai disciplinari di produzione per il non-alimentare, all’introduzione della tecnologia blockchain lungo la filiera e ad un nuovo marchio a tutela della produzioni artigianali a prova di falsario. Ci sono poi due buone notizie che possono indicare una strada per il futuro. Secondo gli artigiani l’85% dei loro clienti sa riconoscere un “fatto a mano” da uno industriale. Per il 70% degli artigiani interpellati una certificazione ufficiale di autenticità, sottoscritta dall’artigiano stesso, potrebbe rappresentare uno straordinario veicolo di promozione dei loro prodotti.