Stellantis, Tavares: a rischio stabilimenti italiani

Roma – Si alza il livello del scontro fra Stellantis e il governo italiano. In mattinata Carlos Tavares ha risposto alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che settimana scorsa aveva accusato la casa automobilistica di privilegiare gli interessi industriali della Francia rispetto a quelli italiani. «Questi argomenti sono un capro espiatorio, per evitare di assumersi la responsabilità del fatto che, se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, si mettono a rischio gli stabilimenti italiani», ha detto all’agenzia Bloomberg l’amministratore delegato del gruppo nato dalla fusione fra Fiat-Chrysler e Peugeot. Dichiarazione – riportata dal Corriere Della Sera – che ha suscitato la reazione del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. «Se Tavares o altri ritengono che l’Italia debba fare come la Francia, che recentemente ha aumentato il proprio capitale sociale all’interno dell’azionariato di Stellantis, ce lo chiedano», ha detto il ministro in uscita dal tavolo automotive convocato per illustrare il nuovo piano di incentivi da un miliardo. «Se vogliono una partecipazione attiva possiamo sempre discuterne». Non è la prima volta che Urso ventila la possibilità di un investimento diretto del governo in Stellantis. L’ipotesi era contenuta nella relazione annuale del 2022 del Copasir, allora presieduto proprio dall’attuale inquilino del Mimit. All’epoca il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica aveva chiesto al governo Draghi di valutare l’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti nel capitale del costruttore per «preservare gli interessi nazionali» e di «ribilanciare i pesi» dei governi nell’azionariato. Il governo francese detiene infatti una partecipazione del 6,4% in Stellantis che, come rivelato dal Corriere, è di recente salita al 9,9% quanto ai diritti di voto grazie al potenziamento delle azioni accordato ai soci leali nel tempo. Lo stesso sistema ha consentito alla holding della famiglia Peugeot di aumentare i loro diritti di voto all’11,1% e a Exor, la cassaforte degli Agnelli-Elkann, di raggiungere il 23%.