CGIA: la palude dei bonus che costano allo Stato 113 miliardi
Mestre – Quelli principali e ancora vigenti sono poco più una quarantina e in questo ultimo triennio (2020-2022) si stima che costeranno allo Stato almeno 113 miliardi di euro (per la precisione 112,7). Stiamo parlando dei bonus introdotti in buona parte dagli ultimi due esecutivi1 per fronteggiare gli effetti economici negativi provocati dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina ad alcuni comparti produttivi, alle famiglie, ai lavoratori dipendenti e agli autonomi. Sarebbe ingeneroso sostenere che gran parte di questi soldi sono stati e vengono tuttora gettati al vento, contribuendo ad aumentare in misura significativa il debito pubblico che, rispetto all’avvento del Covid (2019), è salito di oltre 21 punti percentuali di Pil. Certo, molti sussidi sono stati erogati anche a chi non ne aveva alcun bisogno, altri ancora sono stati introdotti solo per “riscuotere” un consenso politico immediato. Tutto vero: anche se va sottolineato che molte di queste anomalie hanno interessato anche altri paesi europei. Tuttavia, riteniamo che sia giunto il momento di razionalizzarne la spesa. Lo scenario economico e sociale che si sta prefigurando è sempre più cupo, senza contare che entro la fine di quest’anno andranno ad esaurirsi le misure di acquisto dei titoli di stato. In questa stima, altresì, non sono conteggiati quelli erogati anche da Regioni ed Enti locali. Misure che potrebbero peggiorare la tenuta di nostri conti pubblici. Quindi, visto che il Governo Draghi non sembra intenzionato, almeno per ora, a ricorrere allo scostamento di bilancio per recuperare le risorse necessarie per dare un po’ di ossigeno alla nostra economia, non rimane che tagliare la spesa corrente in modo da recuperare almeno una grossa parte delle risorse necessarie per fronteggiare le emergenze economiche di questi ultimi mesi. Infatti, altre strade sono difficilmente percorribili; dalla lotta all’evasione le maggiori entrate che riusciamo a recuperare ogni anno sono molto contenute e un eventuale incremento di gettito attraverso un ritocco all’insù delle imposte non sarebbe praticabile. In altre parole, solo da una “sforbiciata” delle uscite per i bonus potremmo trovare le coperture necessarie per alimentare nuove politiche economiche di natura espansiva per contrastare, ad esempio, il caro bollette e l’impennata dell’inflazione. Il più oneroso è l’ex Renzi Il più costoso per le casse pubbliche è l’ex bonus Renzi: nel triennio 2020-2022 l’importo speso ammonterà a 28,3 miliardi di euro. Introdotto nel 2014, dal 2020 il Governo Conte II ha innalzato questa misura a 100 euro. Compenso che veniva erogato mensilmente nelle buste paga dei lavoratori dipendenti con un livello di reddito che negli anni è oscillato attorno ai 28 mila euro. Nel 2020 la spesa è stata di 10,9 miliardi. Nel 2021 di 13,3 miliardi, mentre per l’anno in corso è destinata a scendere a 4,1 miliardi. Il bonus di Renzi è servito ad appesantire le buste paga degli italiani, con l’obbiettivo di dare un impulso ai consumi delle famiglie. Altrettanto dispendiosi sono stati anche i bonus edilizi; secondo l’Agenzia delle Entrate, tra inizio 2020 e la fine del 2021 sono costati alle casse dello Stato poco meno di 25 miliardi di euro. Ancorchè compensato almeno in parte con l’aumento della tassazione sugli extraprofitti maturati dalle aziende del settore energetico, ammonta invece a 22 miliardi di euro il costo complessivo del bonus sociale che, introdotto nella seconda metà del 2021 e prorogato/rafforzato più volte anche in questa prima parte del 2022, viene utilizzato per calmierare gli aumenti delle bollette di luce e gas, in particolar modo, alle famiglie a basso reddito e alle imprese energivore. Altrettanto oneroso è stato il costo per la collettività del super ecobonus 110%; entrato in vigore nel luglio del 2020 per incentivare la riqualificazione energetica del nostro patrimonio abitativo, al 31 marzo di quest’anno al bilancio pubblico è costato, secondo l’ENEA, 21,1 miliardi di euro. Dei circa 113 miliardi di euro di oneri in capo allo Stato stimati dalla CGIA, ben 46 miliardi sono ascrivibili ai bonus che ruotano attorno al comparto dell’edilizia. Secondo l’Agenzia delle Entrate, infatti, nel biennio 2020-2021 l’importo delle cessioni del credito e degli sconti in fattura ammontava a: 13,6 miliardi di euro per il bonus facciate; 5,5 miliardi di euro per l’eco-bonus; 4,9 miliardi di euro per la ristrutturazione; 0,9 miliardi di euro per il sismabonus; 0,01 miliardi di euro per le colonnine di ricarica. A questi importi che, complessivamente, totalizzano 24,9 miliardi, dobbiamo aggiungere anche le detrazioni maturate per i lavori edilizi terminati che si sono avvalsi del super ecobonus 110%. Secondo i dati dell’ENEA, al 30 aprile 2022 l’onere a carico dello Stato era di 21,1 miliardi di euro. Sia chiaro, nessuno disconosce il ruolo che in questi ultimi anni hanno avuto i bonus nel rilanciare l’edilizia, nel far emergere il sommerso e nel migliorare l’efficienza energetica delle nostre abitazioni; ci mancherebbe. Tuttavia, la convinzione di aver speso eccessivamente e di aver “drogato” il mercato edilizio/impiantistico è molto diffusa. Si pensi, ad esempio, che il bonus ristrutturazione – inizialmente con una aliquota fiscale di detrazione della spesa sostenuta pari al 41 per cento – è stato introdotto 24 anni fa, ovvero nel 1998. In virtù del fatto che il nostro Paese ha assolutamente bisogno di risorse pubbliche per fronteggiare le emergenze di questo momento – come il prezzo delle bollette energetiche, l’impennata dell’inflazione e il rincaro delle materie prime – i soldi possono essere recuperati solo tagliando la spesa pubblica, ovvero cominciando a limitare progressivamente la stagione dei bonus e dei sussidi dati a pioggia, spesso anche a chi, non ne avrebbe alcun bisogno. Nel comparto edile, in verità, il decalage è già stato programmato dal legislatore, ma in maniera ancora troppo lenta. Bisogna, invece, accelerare la riduzione dei vantaggi fiscali e, almeno per alcuni, arrivare al loro azzeramento, mettendo così fine anche alla distorsione distributiva sollevata da molti esperti: il super ecobonus del 110% e molti altri incentivi hanno dimostrato di essere regressivi, ovvero di aver avvantaggiato, in particolar modo, le fasce di reddito più elevate che, più delle altre, hanno beneficiato di questi “sconti”.