Le storie di chi oggi sciopera, su La Stampa

Le storie di chi oggi sciopera, su La Stampa

Torino – I perché di uno sciopero nell’inchiesta del quotidiano La Stampa. “Tagliano le tasse a gente che guadagna bene, 1.500-1.600 euro al mese. Dovevano dare tutto a noi” dice Emanuel Sammartino, precario all’aeroporto di Catania. Negli occhi di chi oggi andrà in piazza per protestare contro la manovra, gli aiuti al ceto medio impoverito sono uno schiaffo alla miseria. Toccava prima a loro. A questo porta la grande ferita delle diseguaglianze che continuano ad allargarsi: 1.500 euro al mese considerati un privilegio, i poveri contro chi sta appena un po’ meglio. “Noi a mille euro, i fatturati delle aziende migliorano e gli sconti vanno a chi guadagna di più” sbotta Camillo Vincenzo Crivello, 40 anni, addetto alle vendite in un supermercato della collina torinese. Le spaccature Non sarà una piazza facile da etichettare, perché metterà in scena spaccature diverse, fronti vecchi e nuovi. I precari contro i garantiti, le tensioni nelle fabbriche tra vaccinati e non vaccinati, chi è ancora in smart working e chi ha dovuto rinunciarci, gli operai in cassa integrazione perché mancano le materie prime e quelli licenziati da una multinazionale scappata nottetempo. Ciascuno con una buona ragione per vedere nel vicino un privilegiato. E tutti ormai talmente lontani da chi è ricco davvero da non sognare neppure così in grande. “Abbiamo capito che non cambia niente se Draghi mette un miliardo in più o in meno sull’Irpef – dice Loris Scarpa, che per la Fiom-Cgil ha seguito il caso di caporalato delle Grafiche Venete di Padova -, qui bisogna impegnarsi tutti per far crescere la consapevolezza che così non si può andare avanti. Nel Paese e nei luoghi di lavoro ci sono solo spaccature”. Ricevere la cassa integrazione può diventare un lusso: Antonio Palma, 50 anni e un figlio di 19, lavora a singhiozzo perché i subappalti all’ex Ilva di Taranto scarseggiano. Riesce a sorridere perché la sua azienda anticipa il pagamento della cassa e non è costretto ad aspettare i tempi lunghi dell’Inps: “Facciamo turni di dodici ore e siamo poveri. Può essere normale? Andrò in piazza perché il governo deve pensare a noi. E non deve guardare al futuro, ma al presente: abbiamo bisogno di portare a casa lo stipendio oggi, non domani”. (…)

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