Covid 19, Oliviero (Cgil): più sanità territoriale e investimenti anche sul personale

Milano – Parlando durante l’incontro online organizzato dai sindacati confederali su ‘Quale sanita’ a Milano dopo il Covid-19?’, Melissa Oliviero, della segreteria milanese della Cgil, ha avanzato le proposte necessarie ad affrontare la fase 3 della pandemia: occorre “rafforzare prevenzione nei territori”, ha detto, di fronte ad una “sanità territoriale fragile ed episodica”. “Abbiamo deciso di organizzare questo convegno per discutere con autorevoli interlocutori le proposte sindacali sul futuro della sanità dell’area metropolitana milanese, alla luce delle sfide poste dalla pandemia che stiamo affrontando”, ha chiarito l’esponente della Cgil. “Siamo stati tra i primi a chiedere di incrementare il numero di tamponi e gli esiti ci danno ragione perché ciò permette di testare un numero più alto di individui, individuando i focolai e circoscrivendo il contagio”. “La prevenzione è fondamentale nella fase che stiamo attraversando: siamo fuori dall’emergenza ma non sappiamo quanto durerà la transizione verso il vaccino. La guardia va tenuta alta”. “La prevenzione va rafforzata nel territorio. Il territorio, dunque. ospedale e territorio, sono le due gambe di ogni sistema sanitario, ma nel nostro contesto la sanità territoriale si è rivelata – alla prova del Covid – fragile ed episodica. Qui serve un deciso cambio di passo. Oggi è necessario avere un territorio attivo, che faccia sorveglianza epidemiologica, protegga i cronici e risponda ai bisogni della popolazione attraverso un’azione integrata tra sociale, sanitario e sociosanitario”. “Nella nuova visione di sanità territoriale – ha proseguito Oliviero – i medici di medicina generale sono fondamentali, ma vanno coordinati e assistiti nel loro lavoro. Devono operare fisicamente in presidi sociosanitari, ove si possano confrontare con medici specialisti e con gli altri servizi sanitari, con le RSA, e con i servizi sociali. Questo perché spesso le fragilità sanitarie si accompagnano a marginalità sociali e necessitano di un intervento integrato. Non si può più operare a canne d’organo: ne va dell’efficacia dell’intervento e dell’efficienza del sistema. Esempio del SAD e dell’ADI. Questa è una delle ragioni per cui diventa centrale il ruolo dei Comuni, in qualità di soggetti che si integrano con chi fa interventi sanitari, in una logica di presa in carico delle fragilità”. “Stiamo registrando da parte di qualche ente locale la disponibilità ad individuare spazi ove inserire gli studi associati di medici di famiglia o altri servizi di sanità. Noi stessi chiediamo nella città di Milano al Comune un ruolo attivo nell’individuazione dei presidi sociosanitari che sorgeranno nei municipi e nei quali provare a sperimentare forme di integrazione tra i servizi sanitari di titolarità delle Asst e i servizi sociali del Comune. Questi presidi di sanità territoriale devono essere la seconda gamba del sistema sanitario della città, a fianco degli ospedali. Una seconda gamba che deve essere comunicante e legata – anche attraverso la presenza di professionisti ospedalieri – agli ospedali. Non è possibile pensare al Territorio slegato dall’Ospedale. A Milano, se avessimo avuto una sanità territoriale legata e in comunicazione con l’ospedale, si sarebbero evitate molte ospedalizzazioni con il conseguente intasamento dei nosocomi e, soprattutto, ci sarebbero state “antenne” sul territorio in grado di identificare i contagi anzitempo, a partire dalle “anomale” polmoniti che si sono verificate molti mesi prima che si manifestasse il “paziente 1”, riuscendo a controllare i nuovi focolai. Le Unità speciali di continuità assistenziali USCA di recente istituzione, non decollano. Vanno immediatamente rese operative e incrementate di numero: 32 medici per 3 milioni di abitanti sono insufficienti. È necessario un piano di assunzioni di medici qualificati, virologi, pneumologi e infermieri e un approvvigionamento di attrezzature per diagnosi e cura”. “Per la città di Milano pensiamo, in coerenza con la proposta di sanità territoriale che abbiamo da tempo avanzato e discusso al tavolo con ATS, che si debba con convinzione e speditamente percorrere la strada di istituire un numero congruo di presidi socio sanitari in ogni municipio”. Poi un focus sul mondo del lavoro: “È necessario investire sull’occupazione, invertendo la tendenza degli ultimi anni che ha depauperato il sistema sanitarie pubblico di molte professionalità, attuando un robusto piano di assunzioni. Il tema dell’occupazione va visto in tutte le sue sfaccettature, perché i diritti siano affermati per tutti coloro che lavorano nella sanità, diretti e indiretti. Le migliaia di lavoratori in somministrazione, di autonomi collaboratori e in partita iva, che lavorano per il servizio sanitario regionale, rende l’idea di come nel tempo si sia disinvestito nella sanità. Dobbiamo passare dalle parole ai fatti e procedere con un piano di stabilizzazione graduale di tutto il personale che lavora nella sanità”. “Non c’è tempo da perdere, la gestione della pandemia ci ha mostrato di non poter indugiare oltre se vogliamo riportare il sistema sanitario di questo territorio a rispondere alle necessità della popolazione e ad essere veramente universalistico”, ha concluso la sindacalista Cgil.